Non si può essere napoletani. Non ora non qui.

24 06 2011

Non si può essere napoletani.

Non ora, non qui.

Non si può essere bambini senza un pallone, una bicicletta e un sorriso. Senza una strada da riempire di sogni e di futuro. Ora, qui, non si può essere bambini senza sapere che al di là di una coltre di sole esistono spari inumani  e sirene dal canto seducente, il disperato grido di una fine già annunciata. Il quotidiano tramonto d’ogni battaglia, d’ogni spirito che naufraga e cede affondando in un mare incantato e incantatore. P’ ‘o mare ‘e Napule quant’armunia! Saglie ‘ncielo e, ‘ncielo, sentono, tutt’ ‘e stelle, ‘a voce mia: voce, ca tènnere, st’ammore fa.

 Ma ora, qui, le stelle dove sono nascoste? E il cielo e la voce e l’amore e Napoli?

Dicono di noi per luoghi comuni. Oscilliamo tra una canzone e un cornetto rosso portafortuna, camorra e folcloristica fede calcistica, furberia, Totò, ignavia e mozzarella.

Hanno ragione o torto?

Diciamo di noi per luoghi comuni. Non siamo fratelli d’un’Italia che ci ha derubato e sottratto l’anima, siamo napoletani, viviamo in un mondo che ci è ostile, non siamo ladri né delinquenti, siamo il Regno delle due Sicilie e ne andiamo fieri; la statua di Garibaldi? via dalla nostra città, qui Napoli e non c’è solo monnezza: c’è vita.

Abbiamo torto o ragione?

Possiamo essere altro che un luogo comune per chi da lontano ci osserva, per noi, oltre un luogo comune e un’immagine che drammaticamente solitaria e blasfema fa il giro del mondo e invade prepotente ogni schermo?

Siamo tutto e il contrario di tutto.

Del nostro volto multiforme lasciamo che si schiuda al sole il profilo peggiore. Il napoletano barbaro, disumano, sgrammaticato e prepotente, il napoletano straniero, è più forte di noi.

La sua voce, più acuta della nostra, oscura stelle e strade, eclissa la storia, il carattere e la passione d’un popolo vero e civile che ora, qui, sta morendo.

Non si può essere napoletani, non ora, non qui, c’è chi non ce lo permette.

C’è chi trama senza lasciar tracce: il vile burattinaio, padrino di marionette senza giudizio e senza libertà che mai si sono chieste né si chiederanno cosa sono le nuvole?

C’è chi non alza mai gli occhi verso il cielo, chi vive d’una città un solo vicolo e, ignaro, ignora che esista altro in cui credere, altro in cui imbattersi, per cui battersi.

C’è chi non vota, non l’ha mai fatto, e si lamenta di un futuro che non gli appartiene, di un futuro che non esiste: gettiamo le delusioni in un sacchetto d’immondizia  (indifferentemente, tanto ‘o ssaccio che só’: pe’ te nun só’ cchiù niente!) e affidiamolo alla strada.

C’è chi inveisce contro il nord padrone e razzista, poi lo vota, lo rivota e non capisce: gettiamo le proteste in un sacchetto d’immondizia (senza tené ‘o curaggio ‘e ce guardá…) e affidiamolo alla strada. La strada senza fiato e senza destino, pare che qui, ora, non abbia che il cuore violento e rabbioso di chi sparge lungo il suo intimo sentimento la vergognosa dottrina del non senso.

Siamo un luogo comune. Il peggiore. Per noi stessi, per gli altri e hanno ragione, abbiamo torto.

Non si può essere napoletani civili.

Non ora, non qui.

Qui non si può essere politici giusti, non si può programmare un futuro a colori, Napoli non è mille colori: Napoli è il buio dei pochi padrini e padroni che dettano la legge a chi non la conosce, che comprano la legge di chi crede abbia un prezzo e la svende al miglior offerente.

Qui, in cinque giorni, non si può ripulire il marcio diffuso dalle ombre sadiche che proiettano la loro sagoma sul contorno d’ogni cosa. Non te lo permettono.

Qui si resta se si è davvero eroi. O divenendo ombre.

Qui non si può godere d’un vento nuovo chè l’aria odora di malavita e polvere da sparo. Non si può amare la propria terra, sentirla viva e ribollente come il sangue nelle vene, sentirsi la radice sana di un universo che sa del domani migliore. Qui, ora, non si può. E il cuore si serra.

Eppure Napoli, fin che ci trema il cuore

Non ti lasceremo nelle mani avide e putride dei burattinai e delle marionette senz’anima, senza patria. Forse le nostre braccia si dibatteranno invano nelle notti di fuoco dei detrattori. La monnezza continuerà ad essere sparsa e bruciata da chi ne sottovaluta l’enorme danno, da chi, intenzionalmente, quel danno lo provoca (affidando la sua missione alla disperazione dell’ignoranza). Forse vincerà ancora l’indifferenza (del popolo e dello stato), la paura e gli occhi chiusi a spegnere le stelle, ad affogare il mare. Forse un giorno della bellissima Napoli non avremo più memoria. O forse persino di questi avvenimenti un giorno la memoria ci sarà gradita.

La nostra audace rottura comincia adesso.

Ora e qui.

Perché vogliamo essere infinitamente napoletani. Finché morte non ci separi.

E del nostro volto multiforme mostrare agli altri, a noi stessi, lo scorcio più poetico e luminoso e ridente. Lo scorcio più vero.

Ora e qui, tocca a noi.

Irriducibili e irripetibili, restando fino all’ultimo napoletani.

Miria Baldicos

Piazza Plebiscito, 23 giugno 2011. Esponenti della società civile e aderenti a comitati civici con de Magistris contro il boicottaggio.

Palazzo San Giacomo, 23 giugno 2011. La Napoli civile con de Magistris

Piazza Plebiscito, 23 giugno 2011 ore 20.00. Sulla destra: cittadini a colloquio col vicesindaco Sodano e con l'assessore alla sicurezza Narducci.

Presidio permanente contro il boicottaggio al piano di De Magistris in Piazza Plebiscito.